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Trento, 14 gennaio 2014
I nuovi cardinali di papa Francesco:
Porpora a Capovilla, la Chiesa dei poveri

di Marco Boato, già parlamentare in più legislature
da l'Adige di martedì 14 gennaio 2014

All’Angelus di domenica scorsa una grande emozione: papa Francesco ha annunciato i 19 nuovi cardinali (tra cui tre «emeriti», cioè con l’età superiore agli 80 anni e quindi esclusi, per decisione di Paolo VI, dalla partecipazione al conclave che elegge il papa), che verranno «creati» nel concistoro prossimo del 22 febbraio. Tra questi, Loris Francesco Capovilla, antico segretario di Giovanni XXIII, che ha compiuto 98 anni il 14 ottobre 2013.

Ieri sui giornali sono comparse molte analisi sul significato di queste nomine preannunciate, che si collocano nel solco aperto da quasi un anno da papa Francesco: una maggiore apertura al Sud del mondo e in generale al Terzo Mondo, alla «Chiesa dei poveri», con un ridimensionamento delle tradizionali presenze «curiali» e della componente europea ed italiana del collegio cardinalizio. Il segno di un percorso pastorale, di attenzione ai più deboli e di autentica «mondializzazione» della Chiesa (del resto, questo significa «cattolica», davvero universale) che papa Bergoglio sta seguendo fin dall’inizio, fin dalla sua inattesa elezione il 13 marzo 2013. Lunedì è tornato ancora sull’argomento, ricordando che il cardinalato non è una onorificenza, ma «un servizio che esige di allungare lo sguardo e di allargare il cuore».

La nomina di Loris Capovilla è davvero un «segno dei tempi», per usare il linguaggio dell’enciclica giovannea «Pacem in terris» e della costituzione pastorale «Gaudium et spes» del Concilio Vaticano II. Nel 2012 era stato ricordato il cinquantenario dell’inizio del Concilio indetto da Giovanni XXIII (poi conclusosi nel dicembre 1965 con Paolo VI) e nel 2013 il cinquantenario sia della «Pacem in terris» (11 aprile), sia della morte di papa Giovanni (3 giugno 1963), alla cui figura pastorale sembra richiamarsi esplicitamente il nuovo papa Francesco, che ha riaffermato più volte in questi mesi la necessità di attuare pienamente la lezione conciliare, spesso inascoltata, accantonata o rimossa (quando non apertamente contestata dall’ala più tradizionalista, «lefebvriana» ma non solo).

Negli anni scorsi, più volte, sulle pagine del «Corriere della sera», lo storico Alberto Melloni, citando Loris Capovilla, aveva aggiunto «che troppi papi hanno perso l’occasione di nominare cardinale».

Lunedì, commentando le nuove nomine con un corsivo sullo stesso «Corriere della sera», il vaticanista Luigi Accattoli ha scritto su papa Francesco: «Spariglia i giochi, volta pagina, rimedia ad antiche dimenticanze. Il rimedio lo si è visto con Loris Capovilla, che diviene cardinale a 98 anni compiuti».

E ancora lunedì, su «Il Messaggero», la vaticanista Franca Giansoldati, oltre all’analisi complessiva del significato delle nuove nomine, gli ha dedicato un commento specifico, parlando del «riscatto di Loris Capovilla», che arriva «nell’anno della canonizzazione di papa Roncalli, che sarà proclamato santo il 27 aprile assieme a Giovanni Paolo II». E ha aggiunto: «Negli anni Settanta, quando era vescovo di Chieti, fu bersagliato di critiche da alcune correnti ecclesiali per il modo in cui si rapportava alla politica». E ancora: «Dopo 40 anni di marginalità, papa Francesco gli rende omaggio con la porpora. Un riconoscimento carico di significato. Perché vuol dire recuperare il senso del pontificato giovanneo, ma anche la sua eredità. Un po’ come riprendere il filo del Vaticano II».

All’inizio di aprile dell’anno scorso, a poche settimane dalla sua elezione, papa Francesco aveva telefonato personalmente a Loris Capovilla nella sua «Ca’ Maitino» di Sotto il Monte (Bergamo), lasciandolo sorpreso e commosso per questo contatto personale e inatteso e parlandogli non solo di papa Giovanni, ma dello stesso Capovilla «molto conosciuto anche in America Latina». Adesso si può cogliere, in quella inattesa telefonata del papa Bergoglio da poco eletto, un segno premonitore della decisione annunciata domenica.

Ma Loris Capovilla non se l’aspettava e l’ha appresa, come molti, ascoltando in diretta televisiva l’Angelus, come fa tutte le domeniche insieme alle Suore delle poverelle che a suo tempo accudirono a Venezia il patriarca Roncalli e in Vaticano Giovanni XXIII, e che ora continuano il loro servizio anche col suo antico segretario.

Mi ha detto poco dopo, con la voce un po’ incrinata dall’emozione: «Non puoi credere con quale sorpresa e quale commozione ho ascoltato pronunciare anche il mio nome da quella finestra del Palazzo apostolico, dalla quale tante volte si era affacciato papa Giovanni».

Ho conosciuto per la prima volta il giovane prete Loris Capovilla quando io avevo otto anni a Venezia e lui era l’insegnante di religione di mio fratello Sandro al liceo. Una amicizia e poi una paternità spirituale, allora iniziata e mai interrotta, che dura ormai da più di 60 anni, con un epistolario di centinaia di lettere e un rapporto anche personale e diretto (da Venezia al Vaticano, da Chieti a Loreto fino a Sotto il Monte), che ogni volta rinnova l’amicizia, la gratitudine e l’ammirazione per un uomo, prete e vescovo, e ora anche cardinale, che è arrivato quasi al secolo di età con la consueta e straordinaria lucidità intellettuale, con una memoria prodigiosa («questo è il mio computer», lui che non usa il computer) e con una apertura mentale e spirituale così viva, da rifuggire sempre dai «laudatores temporis acti», già stigmatizzati da Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio.

«Don Loris» ama sempre ripetere e scrivere: «Tantum aurora est», siamo appena all’inizio, all’alba di un nuovo mondo. «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che finalmente riusciamo a capirlo meglio. È questa la lezione di papa Giovanni e ora anche di papa Francesco».

Grazie «don Loris» per questa autentica testimonianza di vita, di servizio e di amore.

Marco Boato
Già parlamentare in più legislature

 

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